giovedì 28 febbraio 2013

La schizofrenia tra rigore liberista e ribellione


Come diceva Popper, la morte di un uomo è la distruzione di un universo. Per questo, il mistero della morte deve essere accolto con contegno e rispetto. Ma quando si esagera assurdamente nelle lodi del defunto, questo clima viene lacerato da una stridente dissonanza. Tale è il caso di Stéphane Hessel, mancato ieri a Parigi. Il sindaco Delanoë lo ha definito un «umanista autentico e pensatore generoso» e il presidente del Parlamento europeo Martin Schulz un «grande europeo, sempre militante, mai soddisfatto, mosso da uno spirito combattivo e di libertà». In cosa è consistito questo afflato umanistico e libertario? Nel fatto che Hessel, con Edgar Morin, lanciò la parola d’ordine dell’“indignazione” col libello Indignez-vous, che, nel 2010, fu un best-seller mondiale e il vangelo dei movimenti di “indignados” di tutto il mondo. I due grandi vecchi chiamarono all’ “insurrezione delle coscienze” contro la crudeltà del neo-liberismo, indicando come obbiettivo il ritorno alle sorgenti originarie della sinistra che, alla luce della postmodernità, erano quattro: la sorgente libertaria, quella socialista (il miglioramento della società), quella comunista (la fraternità comunitaria) e la sorgente ecologica che chiama gli uomini a ricongiungersi con la Madre-Terra e con il Sole, “fonte di tutte le energie viventi”. Non fu però solo un’insurrezione delle coscienze perché, molto marxisticamente, si propose di passare dall’arma della critica alla critica delle armi: indignarsi non basta, aggiunse Hessel, occorre impegnarsi riscoprendo i valori della Resistenza.
Quanto poco non violento fosse il pensiero di Hessel si vide non solo nell’invito a resuscitare la rivoluzione, ma nell’accanimento contro il “più grande scandalo mondiale”, lo stato d’Israele. Hessel si fece campione di un’iniziativa intollerante per definizione: il boicottaggio di tutto ciò che veniva da Israele.
Attraversiamo un periodo difficile, in cui la costruzione europea suscita focolai di protesta stigmatizzati come “populismi”. In Italia, un movimento di “indignati” ha trionfato alle elezioni, suscitando commenti scandalizzati in Europa. Eppure, il presidente del Parlamento europeo esalta il profeta dei “populismi” come un grande militante europeo… Cosa evoca la schizofrenia di prescrivere severamente la ricetta del rigore liberista, da un lato, e dall’altro di indicare come modello, addirittura di europeismo, la ribellione estremistica contro quella ricetta? È difficile non pensare a un disfacimento analogo a quello delle classi dirigenti della repubblica di Weimar.

(Il Messaggero, 28 febbraio 2013)

martedì 26 febbraio 2013

TORNARE ALLA RAGIONE

A nessuno di coloro che ha votato a sinistra (destra) può piacere l'idea di un governo con la destra (sinistra). Ma la situazione a cui ci troviamo di fronte è di una chiarezza estrema. Al Senato nessuna maggioranza è possibile, quantomeno nessuna maggioranza stabile. L'idea di un governo di minoranza che si va a cercare i voti provvedimento per provvedimento è una follìa, e il fatto che circoli in queste ore è l'ennesima conferma del detto che Dio fa impazzire coloro che vuol perdere. Sarebbe un governo-vela (esposto a tutti i venti), a fronte del quale il governo Prodi, che aveva un paio di voti di maggioranza al Senato, farebbe la figura di un inattaccabile monolite. Tra l'altro, è esattamente quello che vuole Grillo, il quale non è così sciocco da fare alleanze di governo: a parte che ha già detto che non se ne parla, sarebbe l'inizio del suo declino. Mentre, con un governo che chiede appoggio caso per caso, acquisirebbe un potere d'interdizione enorme e si terrebbe le mani pulite.
Intanto, l'economia ballerebbe sempre di più, i tecnocrati avrebbero nuovi argomenti per imporre all'Italia di chiedere prestiti e di subire un regime di alienazione della sovranità nazionale.
Si vuole arrivare a questo sfascio soltanto per non sentire un po' di fastidio sotto il naso? Sapessero, i signori dei partiti, quanta puzza hanno dovuto sopportare, turandosi il naso, quegli elettori che li hanno rivotati!... Si mostrino irresponsabili e la prossima volta l'astensione e Grillo saliranno al 35%.
Non c'è niente da fare, la situazione è drammatica, è di emergenza nazionale, e come tale va trattata, mostrando senso di responsabilità.
E l'unica soluzione ragionevole è un governo di larghe intese, come è stato proposto in queste ore da tanti, e come si fa in tutti i paesi civili quando c'è una condizione di emergenza e si vuole sopravvivere.
È chiaro che vi sono troppe cose su cui centro-destra e centro-sinistra non possono facilmente andare d'accordo. Ma ci sono cose su cui si può agire, quando e se si ha il senso dell'emergenza e di responsabilità nei confronti della nazione.
Del resto cosa fecero democristiani, comunisti, socialisti, liberali, azionisti, quando scrissero assieme la Costituzione?
Qui è ormai chiaro anche alle pietre della strada cosa bisogna fare per rimettere in moto la macchina per il bene del paese:
- Una legge elettorale maggioritaria ragionevole che dia luogo a risultati omogenei alla Camera e al Senato: modelli ce ne sono a volontà, dalla Francia alla Spagna alla Germania.
- Abolire il bicameralismo perfetto trasformando il Senato in camera delle autonomie, come in Germania.
- Dimezzare il numero dei parlamentari.
- Abolire le province e tagliare drasticamente i costi della politica.
- Correggere la demenziale modifica del Titolo V della Costituzione per eliminare i fattori che creano un rapporto paralizzante tra potere centrale e autonomie.
- Riformare la burocrazia ministeriale tagliando le unghie ai suoi superpoteri e fare il più che sia possibile per alleggerire la presa dello statalismo sull'economia.
Ecc. ecc.
Ma basterebbero quelle cinque cose per potere andare di nuovo a votare tra qualche anno con la speranza che si rimetta in moto il sistema.
E sono cose che vengono dette e ripetute da anni e anni e su cui si direbbe che esista un consenso.
Non è possibile, non è ammissibile che non ci si possa mettere d'accordo per fare queste riforme essenziali, solo perché si ha la puzza sotto il naso.
Al contrario, l'idea di cambiare la legge elettorale per rivotare subito è un'idea non meno demenziale di quella del governo di minoranza, se non altro perché le probabilità di mettersi d'accordo su una prospettiva così strumentale sono vicine allo zero.
È da sperare che le forze politiche abbiano un sussulto di senso di responsabilità nazionale. Altrimenti, finiranno nel bidone della spazzatura. Si potrebbe dire "peggio per loro", ma il guaio è che pagheremmo tutti il prezzo.

giovedì 7 febbraio 2013

Università, il fallimento del "3+2"


Un anno fa, in occasione del dodicesimo anniversario della riforma universitaria berlingueriana del “3+2” (laurea specialistica e laurea magistrale) si fecero alcuni bilanci ottimistici. Con quanto fondamento lo vediamo ora, constatando che il numero degli studenti universitari è crollato, accanto a una pesante diminuzione del numero dei docenti. Né la diminuzione della natalità può giustificare simili numeri, anche in presenza di un aumento della scolarità e delle riforme che miravano ad aprire gli accessi a un numero sempre maggiore di studenti Può stupirsi solo chi non abbia seguito le vicissitudini dell’università in questo lasso di tempo. Al solito grido “l’Europa lo chiede” (il che era anche falso), si costrinsero le università a dedicarsi per alcuni anni al compito immane di mettere in piedi un sistema barocco ed elefantiaco di crediti. S’introdusse una laurea triennale dequalificata, spezzettata in micro-insegnamenti e che non da accesso a quasi nessuna professione. Si sostituì la collaudata laurea quadriennale con una laurea quinquennale, un “+2” di cui metà serve a tappare le falle del “3” e l’altra metà a fare appena qualcosina in più. Quindi, tre anni per ottenere un pezzo di carta che non vale niente, cinque anni per ottenere qualcosa che vale meno delle vecchie lauree quadriennali, spendendo un anno in più di tasse. Di che stupirsi se un simile sistema sia risultato assai poco attraente? Inoltre, uno dei canali fondamentali, quello della formazione degli insegnanti è stato prosciugato. Prima lo si è fatto passare attraverso un’istituzione a dir poco discutibile, le Siss (Scuole di specializzazione per l’insegnamento) che costringevano ad altri due anni di corsi (ben sette anni in totale!). E il tentativo di ridurli a uno con il Tfa (Tirocinio Formativo Attivo) è stato vanificato e ridotto a una parodia da una ridda di inteventi, modifiche, deroghe e test di accesso assurdi.
Si aggiunga che la frantumazione dei corsi in corsucci persino di poche ore ha creato un clima isterico in cui lo studente deve superare un numero esorbitante di esamini, senza potersi mai fermare a studiare seriamente una materia in modo organico. Le università hanno pesanti responsabilità nell’aver contribuito a questa frantumazione. Ciò riconduce all’antica questione se sia più colpevole Eva o il serpente. Sta di fatto che hanno giocato una parte rilevante i tanti serpentelli che hanno predicato (e predicano indefessamente) contro le università che sarebbero troppo dedite alla cultura, allo studio disinteressato, alla ricerca pura, invece di funzionalizzarsi in toto al mondo produttivo, uscendo dalle “torri d’avorio”. Dalle torri d’avorio si è usciti da un pezzo ed ecco il risultato.
V’è poi la questione del corpo docente. Dagli anni settanta vi furono grandi immissioni ope legis ed era chiaro che in questi anni vi sarebbe stata una valanga di pensionamenti. Nulla si è fatto, producendo un’enorme frattura generazionale e la conseguente mancata trasmissione di esperienze e competenze.
Le cifre – in controtendenza rispetto agli altri paesi avanzati e non – indicano un drammatico declino dell’università italiana che viene osservato con insensibilità pari a quella con cui viene osservato il disastro dei beni culturali, e anzi proponendo di calcare la mano sulle ricette rivelatesi fallimentari. Si parla di “società della conoscenza” e si crede che questa possa reggersi su nuove generazioni sempre meno qualificate. Infine, il continuo taglio delle risorse ha ormai raggiunto livelli incompatibili con l’esistenza di un’università degna di questo nome. Un conto è razionalizzare la spesa – ma allora perché si trovano quattrini a palate per le follie dell’Anvur? – altro conto è credere che si possano fare le nozze con i fichi secchi. Sono stato di recente in un’università svizzera neppure di primo livello, e mi sono vergognato nel vedere la qualità delle aule, del campus, dei servizi. Quale rispetto, interesse, attrattiva può suscitare un’istituzione ridotta in uno stato di vero e proprio sfacelo?

(Il Mattino, 2 febbraio 2013)