domenica 10 luglio 2011

Non sarà un dirigente “manager” a liberarci dai somari in cattedra



La dirigente di una scuola secondaria decide di punire in blocco gli studenti della sua scuola per il danneggiamento vandalico di un estintore imponendo un rimborso collettivo. Uno studente modello (9 di media) si rifiuta di pagare la sua quota in quanto non si ritiene colpevole di alcunché. La dirigente propone al consiglio di classe di assegnargli un 6 in condotta. Una insegnante vota contro e si vede punita dalla dirigente con 10 giorni di sospensione senza retribuzione. È un fatto – riportato ampiamente dalla stampa – che testimonia la cronica incapacità di trovare nella scuola il giusto equilibrio tra gestione democratica “dal basso” e gestione autoritaria. Si tratta forse del riflesso di una carenza italiana di cultura autenticamente democratica dopo che per qualche decennio sono prevalse culture totalitarie? Lasciamo pure aperta la domanda. Ma, di certo, le follie populistiche della scuola del successo formativo garantito in cui sono garantiti i diritti ma non i doveri – la scuola della “customer satisfaction”, in ginocchio davanti all’“utente” – non si correggono conferendo un potere consolare incontrollato ai dirigenti scolastici “manager” sul modello fallimentare delle ASL. Questa mancanza di senso dell’equilibrio si è espressa anche nella sperimentazione della valutazione del merito dei docenti in cui il potere di decidere chi siano gli insegnanti migliori di un istituto scolastico è stato conferito a una commissione composta dal dirigente e da due docenti “eletti” dai loro colleghi. Magari in questa particolare sperimentazione le cose saranno andate in modo corretto, ma è alla portata di chiunque capire che una scuola in cui un dirigente ha una mentalità autocratica e si è creato una propria consorteria – per i più svariati motivi, da quelli personali a quelli politici, ideologici, ecc. – la medesima consorteria può autopremiarsi penalizzando gli sgraditi, che magari sono i migliori.
Ecco un altro episodio, tra i tanti che si potrebbero raccontare. Un insegnante si distingue per la sua incapacità di tenere l’ordine in classe e per la sua ignoranza. Le sue castronerie – del genere «oggi vi imparo» – si sprecano e sono anche documentate. Un gruppo di genitori stufi protesta per iscritto con il dirigente. Ma l’insegnante è molto amico del dirigente e anche di altri genitori – cui fa comodo che i loro cocchi facciano quel che più garba loro e che abbiano pochissimi compiti a casa – con cui intrattiene rapporti personali, per esempio andando a farsi ogni tanto una pizza con loro. Così parte un contrappello in difesa dell’insegnante e contro le famiglie che hanno protestato. Il dirigente si schiera con l’insegnante e i genitori suoi amici e, per gli altri, l’unica alternativa è tentare di cambiar scuola. L’esito è così riassumibile: «Ve lo imparo io che succede a protestare contro il mio insegnante».
È chiaro che non esistono sistemi perfetti ma bisogna proprio andarsi a scegliere un sistema che presenta controindicazioni tanto plateali? Se poi si definisce un simile metodo come “oggettivo” si sconfina nell’incoscienza. È elementare capire che il minimo di garanzia di ottenere una valutazione seria è affidarla a un giudizio esterno e indipendente.
 Ora, la premiazione dei migliori scelti a quel modo – in una trentina di scuole faticosamente pescate dopo una raffica di rifiuti - viene sbandierata come un successo. Mi dispiace, ma non sono d’accordo. Non esistono ragioni al mondo, di alcun tipo, che possano indurre a condividere scelte che confliggono con il più elementare buon senso e che possono avere implicazioni pratiche distruttive.
(Tempi, 13 luglio 2011)

1 commento:

paolo casuscelli ha detto...

Buon giorno, prof. Israel.

L'ipotesi di affidare la valutazione dei migliori insegnanti di un Istituto ai dirigenti e, peggio ancora, ai colleghi degli insegnanti, in barba a ogni pretesa obiettività, non considera il peso che può avere il “risentimento” nella costruzione di un giudizio di valore. E non è robetta da nulla: grava, dai verticali abusi di potere, alle trasversali invidie inter pares.

Valutare gli insegnanti su quale terreno? Lì dove sono in competizione tra loro? Che tipo di competitività esiste nei loro rapporti? Si aprono forse gare a chi sia più autorevole? A chi incida maggiormente con il proprio carattere, la propria cultura, sulla formazione degli alunni?
Se qualcuno crede questo, è fuori dal mondo.
Le uniche competizioni in cui li vedo tutti atletici sono nella corsa a chi afferra per primo i progetti, i soldini. Lì si fanno persino carte false, per arrivare primi. (Dirigente scolastico e direttore amministrativo, su taluni progetti, riscuotono una percentuale, l'ho scoperto ora, nella mia ingenuità. Non è tangente, ma legalissima tassa sul progettato).

Direi che, quasi inevitabilmente, in un rapporto come quello tra gli insegnanti, dove tutti sono sullo stesso piano, sulla base del diritto, che tende a garantire tutti, fino a spuntarla sui doveri, che talvolta appaiono aleatori, poco oggettivabili, discutibili senza che però se ne discuta mai, in tutta questa deresponsabilizzazione, trionfa, sul piano istituzionale, la burocrazia; sul piano delle umane relazioni, le invidie si scatenano.

Agli ideatori di un sistema di valutazione affidato a dirigenti e insegnanti scelti (come?) chiederei: chi si farebbe valutare da un burocrate per la qualità di un lavoro che non è burocratico? E chi da un invidioso? E da un burocrate invidioso? E da un collega invidioso ma burocraticamente esperto?
Nessuno:
“È elementare capire che il minimo di garanzia di ottenere una valutazione seria è affidarla a un giudizio esterno e indipendente”.

Il problema, però, è che un minimo di garanzia non garantisce nulla. Se gli esterni indipendenti fossero gli “esperti” già in circolazione, pronti a indagare intorno alla fissazione maniacale delle “metodologie alternative” ...dalla padella alla brace.
Ne ho visti e sentiti di esperti all'opera, quest'anno, e potrei raccontarne delle belle (belle, si fa per dire).