sabato 2 febbraio 2008

Un paese non tratta sulla sua dignità, Israele rinunci ad andare a Torino

La gazzarra attorno all’invito a Israele come paese ospite della XXI Fiera del Libro di Torino sta assomigliando maledettamente alla vicenda della mancata visita del Papa alla Sapienza. Ricordiamo i tre fattori che sono intervenuti nel meccanismo che ha determinato la rinuncia del Papa. Il primo è stata la palla “culturale” lanciata da un gruppo di docenti sulla base dell’argomento inconsistente che il Papa voleva rifare il processo a Galileo. Il secondo fattore è stato il solito gruppo di violenti che staziona alla Sapienza da tre generazioni, che ha raccolto la palla e ha minacciato sfracelli, contestazioni acustiche e peggio. L’interazione di questi due fattori ha fatto crescere la tensione alle stelle. È intervenuto allora il terzo ingrediente, ovvero l’ignavia istituzionale, in particolare del governo che evidentemente non ha dato al rettore le garanzie del caso, se è potuto accadere che i violenti occupassero il rettorato e ottenessero, attraverso un ricatto, il controllo di gran parte dell’area antistante l’Aula Magna per autogestire la contestazione. L’aspetto inaudito è che vi sia chi difende l’idea che agire così sia garantire la libertà di espressione. Ma che paese è mai quello in cui si ritiene “democratico” ricevere un invitato a pernacchie e pomodorate, offrendo una piattaforma di lancio adeguata a cogliere il bersaglio? È il paese in cui certi “educatori” pensano che sia libera espressione del pensiero, garantita dalla Costituzione, entrare in un’aula, srotolare uno striscione e sbraitare slogan impedendo di parlare chi è stato designato a farlo. Perciò, ha fatto benissimo il Papa a non andare.
Ora a Torino si sta apprestando uno scenario analogo, riservato a Israele. Hanno iniziato i soliti “intellettuali” a lanciare la palla al centro, per dare inizio a una partita in cui sono scesi in campo spezzoni della sinistra e il muro compatto degli intellettuali e scrittori arabi; insomma, il solito schieramento di condannatori professionali di Israele, che non hanno fatto udire neppure un sospiro in occasione della dichiarazione da serial killer dello sceicco Nasrallah in cui ha elencato i pezzi di cadaveri israeliani in suo possesso. È gente che non direbbe una parola se venisse invitato come paese ospite il Sudan o l’Iran, che non ha nulla da dire sugli innumerevoli sterminii che dilagano in tutto il mondo, ma che ha la spudoratezza di definire questo invito una “intrusione” di Israele nella Fiera del Libro… Chi ha dissentito da costoro a sinistra? Quasi nessuno, salvo qualche coscienza inquieta, come Valentino Parlato, che ha deprecato quella che gli sembrava una discriminazione che sfociava nell’odio antiebraico. Ma il mettersi al riparo dietro la condanna di ordinanza non gli è servito a evitare un diluvio di deprecazioni dei militanti: chi di estremismo ferisce di estremismo perisce. Poi è intervenuto puntuale il secondo ingrediente, ovvero la previsione di una contestazione violenta che ha suscitato prontamente turbamenti e incertezze circa le sorti della Fiera.
E le istituzioni? Traballano o tacciono. Traballa il consiglio della Fiera che deve riunirsi per decidere come procedere. Per decidere cosa, di grazia? Questo è un invito a Israele e non deve essere controbilanciato da nulla o legittimato da purificazioni di sorta. Quando, nei prossimi anni, verranno invitati altri stati, varrà lo stesso criterio. L’unica decisione dignitosa è che Israele sia invitato da solo, senza patteggiamenti e senza i contrappesi di altri interventi. Punto. Il resto sarebbe un cedimento vergognoso ai violenti e agli intolleranti.
Le istituzioni più in alto tacciono. Non una parola dagli alti dirigenti della sinistra, da cui pure provengono i veleni. Non una parola, per dire, dal presidente della Camera. Né il ministro Amato, che ha spiegato durante la Giornata della Memoria che dalla discriminazione nasce la persecuzione, trova la forza di battere il pugno sul tavolo.
Allora rivolgiamo due richieste, nel caso sciagurato in cui non venisse confermato, con dignità, senza controcanti e contrappesi, l’invito a Israele. Capiamo la prudenza diplomatica da parte israeliana ma è bene pesare fino in fondo la posta in gioco. Nel suddetto caso sciagurato rivolgiamo l’appello a Israele di ritirarsi dalla Fiera. Saremo in tanti, inclusi gli scrittori che si ritireranno dalla (in quel caso) squalificata Fiera, a organizzare eventi in tutta Italia per presentare nelle sedi più opportune la cultura israeliana. E rivolgiamo lo stesso invito agli scrittori israeliani che dovrebbero essere invitati, e che sono troppo prestigiosi per accettare il piatto di lenticchie di una manifestazione condizionata dall’intolleranza e dall’odio. Quando si profilano circostanze che ricordano, in tutto e per tutto, la campagna del 1937 che precedette l’emanazione delle leggi razziali, bisogna essere all’altezza della situazione. Perciò, o a Torino con dignità e libertà e senza umilianti compromessi, oppure in altre sedi libere e tra uomini liberi.
(Il Foglio, 2 febbraio 2008)

4 commenti:

Gianfranco Massi ha detto...

Caro Israel, a proposito della fiera del libro (ma anche delle ormai rituali okkupazioni delle scuole, come delle stazioni ferroviarie e/o stradali imposte dai vari comitati Notav, Nocoke, Nodiscariche, Notransitoarmi, ecc,ecc).
L' Italia è diventato un paese anarchico grazie a Mussolini e all' antico compromesso storico tra DC e PCI (col patto "noi al governo e voi all' opposizione).
Gianfranco Massi

Ilaria ha detto...

Trovo che la semplice idea di questo boicottaggio sia, oltre che vergognosa, anche assurda. Però mi spiacerebbe che i "boicottatori" (che comunque sono una minoranza) debbano averla vinta. Sarebbe bello che in tal caso si realizzasse almeno la sua proposta, cioè che gli scrittori israeliani trovassero comunque un modo per incontrare i loro lettori e i cittadini interessati. Certo, è molto triste vivere in un paese in cui non ci si sa confrontare civilmente.

Nessie ha detto...

Io sono di parere diverso. Israele deve andare, eccome. E i suoi scrittori devono poter parlare in tutta tranquillità. E tutti quelli di buona volontà devono, anzi, dobbiamo firmare gli appelli che ha lanciato Libero e che ci sono sul web contro il boicottaggio. E per porre fine ai predicatori del comunislam nonché amici di Tariq Ramadan: quello che vorrebbe una moratoria per la lapidazione, considerata in sé, un male minore. Proprio oggi il Corriere ha riportato la legalizzazione (attraverso i sussidi di stato) della poligamia islamica in GB. Vogliamo suicidarci?

latomm ha detto...

Sono italiana e non ebrea, vivo in Francia e sto seguendo con malinconia le vicende italiane in generale, ma in modo particolare con orrore la questione della Fiera del Libro di Torino e quella della black list dei professori ebrei.
Non c’è molto che possa dire se non aggiungere la mia voce a tutte le (scarse, secondo me) espressioni di sdegno.
Spero che Israele non manchi di esser presente a Torino dove verrò espressamente per visitare a lungo e accuratamente la sezione ad esso dedicata assieme a amici italiani che verrano da Milano e da Padova con lo stesso deciso impegno.
Laura Tommasi