domenica 24 febbraio 2008

Se tutto è relativo, anche la libertà, preparatevi a dare il benvenuto alla sharia

Memento per chi è favorevole all’ingresso della Turchia in Europa. Il primo ministro turco Erdogan, in visita in Germania, ha tenuto un discorso alla comunità turca durante il quale l’ha invitata ad integrarsi ma non ad assimilarsi «perché l’assimilazione è come un crimine contro l’umanità». Secondo l’europarlamentare tedesco di origine turca Cem Ozdemir, “integrazione” vuol dire parlare la lingua del paese in cui si vive, rispettare la costituzione e le leggi, mentre “assimilazione” vuol dire rinunciare alla propria religione, alla propria lingua, alle proprie tradizioni, come smettere di mangiare kebab e passare alla kartoffel salat. In effetti, Erdogan ha battuto il tasto sulla lingua, la religione e le tradizioni.
Se ne deduce che il primo ministro turco non ha idea di che cosa sia la democrazia liberale, la quale esige l’integrazione, cioè il rispetto della costituzione e delle leggi (e la conoscenza della lingua) – e fin qui non ci sono problemi – ma anche la libertà di cambiare religione, o di non averne alcuna, di smettere di parlare la lingua d’origine, di appassionarsi alla cultura del paese d’elezione e di mangiare quel che più aggrada, kebab, kartoffel salat, pastasciutta o involtini primavera. Non ha idea di che cosa sia la democrazia liberale perché considera questa libertà come un abominio, anzi come “un crimine contro l’umanità”. Se questo è lo spirito con cui settanta milioni di turchi debbono entrare in Europa, occorre dire: no, grazie, abbiamo già molti problemi, risolvete prima il vostro, di non farvi distruggere le conquiste del kemalismo da un rigurgito fondamentalista. Ha molti problemi la Germania che deve fare i conti con due milioni e mezzo di turchi aizzati al comunitarismo a implicazioni razziste. Ne ha abbastanza la Francia, per ragioni analoghe, e la Spagna che, dopo l’attentato di Madrid, ha un governo che chiede il voto islamico per rivincere le elezioni; per non parlare dell’Olanda che ormai è quasi islamizzata. Ne ha potenzialmente l’Italia e soprattutto ne ha di devastanti l’Inghilterra. Qui un vescovo anglicano va oltre il proclama di Erdogan, proponendo che una parte dei cittadini possa vivere fuori dalle leggi inglesi, sotto l’egida esclusiva della sharia. Viene avanzata l’inaudita proposta di conferire assegni familiari a nuclei poligamici. Nel frattempo, la giornata della memoria è stata annullata in molte scuole per rispettare la “sensibilità” dei musulmani che non vogliono sentir parlare dello sterminio degli ebrei. E, al contempo, si vieta di pronunziare le parole “mamma” e “papà” a scuola o negli ospedali e si fabbrica la vita come aggrada al primo Frankenstein di turno.
Forse Erdogan si permette di parlare così – a poca distanza dal cancelliere Merkel sfidando il suo ruolo di governante della nazione tedesca – perché percepisce questa drammatica debolezza, la disgregazione dell’Europa, la dissoluzione dei principi culturali, etici e morali che sono il pilastro della democrazia liberale. E si permette di sfidarli in modo irridente. Qualche scemo può dire che stiamo predicando una guerra di civiltà. Al contrario. Non rendersi conto di quel che accade significa preparare i drammi peggiori. Si tratta di decidere se teniamo ancora ai principi che sono il fondamento della libertà e che permettono di poter cambiare religione, cambiare abbigliamento, letture e cucina senza che qualcuno venga ad accusarci di compiere un crimine contro l’umanità. Si tratta di decidere se vogliamo ancora restare liberi.
(Tempi, 21 febbraio 2008)

venerdì 22 febbraio 2008

Un nuovo dramma si approssima

È difficile pensare che la situazione in Medio Oriente possa trascinarsi troppo in questo modo. Il lancio di missili da parte di Hamas sui territori israeliani sta facendosi sempre più intenso, e ciò è certamente conseguenza dell'ingresso massiccio di armamenti in quel periodo in cui la frontiera con l'Egitto si è aperta.
È sufficiente un rapido esame dei dati. Nel 2005 vi sono stati 417 lanci di missili Qassam o di tiri di mortaio. Questi lanci sono saliti a 968 nel 2006 e a 1645 nel 2007 (cfr. l'istogramma sotto riportato). Nel gennaio 2008 vi sono già stati ben 377 lanci.



All'attuale ritmo di lanci Israele riceverebbe nel 2008 circa 4800 missili o colpi di mortaio. Senza contare che i missili sono sempre più potenti e se prima raggiungevano soltanto la cittadina di Sderot, ora sono il grado di raggiungere Ashqelon e possono andare oltre, fin quasi ad Ashdod. Si veda la cartina. Attualmente circa 190.000 israeliani vivono sotto il tiro di questi ordigni.



Ancora alcuni dati. Il numero degli israeliani uccisi o feriti sono corrispondentemente aumentati: 90 vittime nel 2005, 91 nel 2006 e 125 nel 2007. Nel solo mese di gennaio vi sono state 250 vittime. Il 45% dei tiri sono caduti su Sderot e il 90% degli abitanti di Sderot ha avuto a che fare con un tiro sulla loro strada o su una adiacente.

È chiaro che una simile situazione è insostenibile. Sarebbe bene tenerla presente invece di parlare soltanto di crisi umanitaria a Gaza, magari per stabilire inaccettabili e vergognosi confronti tra Gaza e Auschwitz. Continuando di questo passo scoppierà una guerra regionale e allora bisognerà ricordare chiaramente di chi sono le responsabilità.

mercoledì 20 febbraio 2008

Una sfida incauta

Il professor Franco Cardini mi ha lanciato questa "sfida" sul Foglio:

Al direttore – Sono purtroppo un pessimo navigatore in rete. Per cui solo oggi, a quasi sei mesi di distanza, leggo una lettera pubblicata dal suo giornale nella quale il prof. Israel, tra l’altro, afferma: “Cardini è anche noto per i sentimenti non proprio benevoli nei confronti di Israele”. E’ vero il contrario: come ben sa chi legge le cose che scrivo (non parliamo di chi mi conosce personalmente) io amo Israele, dove ho anche più volte soggiornato per motivi di studio e dove ho molti amici. Ma evidentemente il prof. Israel non si riferisce alle critiche – anche molto dure – che ho spesso indirizzato ad alquanti governi israeliani, l’attuale compreso, per il suo modo di gestire la questione palestinese e la politica estera: queste critiche che possono anche essere sbagliate ma che restano legittime, e che non intaccano in nulla la simpatia e l’amicizia.
Il prof. Israel non si è dato la pena di controllare di persona quel che io dichiaro e scrivo (il che, data la sua professione di scienziato, è particolarmente grave), ma si è evidentemente fidato di giudizi e citazioni di seconda mano: magari tratti da “blog” che , per dirla con le sue parole, non sono proprio benevoli nei miei confronti. Anzi si tratta di blog gestiti da calunniatori di professione, spacciatori d’informazione scorretta, con i quali si possono avere rapporti solo attraverso i legali e la magistratura. Sfido pertanto formalmente il prof. Israel a fornire le prove della mia “ostilità” citando direttamente cose fatte e scritte da me che comprovino non già il mio disaccordo dinanzi a fatti specifici, bensì il pregiudizio israeliano del quale sarei portatore.
Franco Cardini

Segue la mia risposta. Il Foglio, per evidenti ragioni di spazio, l'ha leggermente tagliata. Qui ne fornisco la versione integrale:

Non ritengo che si possa abusare dello spazio gentilmente concesso dal Foglio per stendere un dossier circa le dichiarazioni “antipatizzanti” nei confronti di Israele del professor Cardini. Sostenere che Hamas – un movimento che predica la distruzione di Israele, anzi prescrive nella sua costituzione di scovare e ammazzare ogni ebreo dietro ogni pietra – «non è un’organizzazione terroristica bensì un partito politico, un sodalizio di combattenti e una forza sociale», sarebbe materia di umorismo se non fosse stato scritto seriamente dal professor Cardini sul suo blog. Ma l’unico esempio su cui voglio soffermarmi è la sua adesione, tra i primi firmatari, all’appello “Gaza vivrà”. In questo appello si dice che «un milione e mezzo di esseri umani […] come nei campi di concentramento nazisti sopravvivono in condizioni miserabili, senza cibo né acqua, senza elettricità né servizi sanitari essenziali», mentre Israele bombarda cittadini inermi. Non si dice che se i “cittadini inermi” smettessero di lanciare missili sui civili israeliani cesserebbe ogni intervento contro di loro, senza contare che il blocco di cui si parla non è mai stato e non è nei termini descritti. Ma, falsificazioni a parte, è indecente il confronto tra Gaza e i campi di concentramento nazisti, nei quali – com’è noto – gli internati erano armati fino ai denti e sparavano missili quotidianamente. La denuncia del carattere scandaloso di questo confronto ha provocato una risposta da parte di alcuni firmatari tra cui lo stesso Cardini (Corriere della Sera, 11 novembre 2007) in cui si dice: «la nostra era una legittima energica denuncia non del carattere nazista della politica israeliana – non avrebbe alcun senso affermarlo – ma delle condizioni di vita miserabili della popolazione palestinese di Gaza che sono sicuramente paragonabili a quelle di un campo concentramento nazista». Così il paragone veniva sfrontatamente riproposto; e poiché le condizioni “sicuramente paragonabili” erano spiegate nell’appello come dovute alla politica israeliana, la precisazione equivaleva a una conferma, nascosta sotto un contorto cavillo non degno di intellettuali che hanno funzioni educative. Cardini pare aduso a questo genere di cavilli da far invidia al pilpul talmudico. Ad esempio quando, alla richiesta di Pierluigi Battista di prendere le distanze da un’edizione vergognosamente antisemita del Corano per cui aveva scritto una prefazione, asserì di volerlo fare anche se «le pur incaute espressioni» si iscrivevano «nell’ambito non dell’antisemitismo bensì in quello – riprovevole: ma da non confondersi col primo – dell’antigiudaismo». Meno male: perché un conto è sentirsi chiamare scimmie e porci in un contesto antigiudaico, altro conto in un contesto antisemita. Volete mettere?
Lasci quindi perdere Cardini le sfide. Se poi è in vena di ripensamenti siamo pronti a dimenticare anche “Gaza vivrà”.
Giorgio Israel

Faccio un'aggiunta. Il professor Cardini non ha avuto, come me, più di metà della famiglia gassata ad Auschwitz. Non gli auguro di trovarsi in una situazione del genere, che gli permetterebbe però di capire l'indecenza del confronto che ha sottoscritto. Dovrebbe riflettere e capire quanto quel paragone sia offensivo. Un minimo di consapevolezza dovrebbe trattenere dall'osare di lanciare addirittura una sfida dopo aver sottoscritto un appello ignominioso come "Gaza vivrà".

sabato 16 febbraio 2008

Dialoghi incrociati e una conferma impressionante

La polemica sulla preghiera "Oremus et pro iudaeis" ha avuto sviluppi sul sito di Informazione Corretta. Alcuni lettori di quel sito, cui collaboro, hanno espresso il loro accordo con le tesi esposte negli articoli qui riportati (e riportati anche su Informazione Corretta). Altri hanno espresso il loro dissenso. Ho inviato a Informazione Corretta una risposta, rivolta in particolare a una lettrice. La riporto qui per l'eventuale beneficio dei lettori di questo blog.

Ma subito dopo riporto un documento che costituisce una conferma puntuale di quanto vengo scrivendo da tempo.
I tradizionalisti cattolici hanno colto perfettamente che la posizione di Martini è quella realmente antigiudaica, mentre i nostri incauti protestatari se la prendono con l'Oremus in nome delle stesse formule che Martini ha riportato in auge con il plauso dei tradizionalisti.
Difatti, la sua è la vera posizione coerente con quella preconciliare: amare gli ebrei ed essere loro vicini per spiegare loro il tragico errore da cui debbono emendarsi.


======================================

Danielle Sussmann dice che spera "finalmente" di conoscere la mia opinione. Non so cosa debbo fare. Ho scritto un articolo sul Corriere della Sera, un altro sul Foglio ("Mettere la chiesa nell'asse del male antisemita è una follìa"), riportati entrambi da Informazione Corretta, e il secondo preceduto da un commento rivolto espressamente ai lettori di Informazione Corretta... Che debbo dire?
Senza intasare troppo Informazione Corretta posso rinviare al mio blog (http://gisrael.blogspot.com/) dove, in coda all'articolo sul Foglio ho inserito una sintesi - ripresa dalla rete - delle posizioni del rabbino David Berger. Mi si consentirà, è una sintesi chiara, netta e approfondita dal punto di vista teologico. Spiega perché l'approccio di Ratzinger è il più confacente e coerente per un produttivo dialogo ebraico-cristiano. Questa litania della Nostra Aetate che sarebbe stata gettata al cestino dall'attuale Papa, è una baggianata. Nella Nostra Aetate il superamento della teologia della sostituzione era molto meno netto di quanto non sia stato nelle dichiarazioni successive di Giovanni Paolo II (in cui ha avuto parte decisiva il cardinale Ratzinger, che è stato il "teorico" del precedente pontificato) e soprattutto nel fondamentale testo ratzingeriano "Il popolo ebraico e le sue sacre scritture nella Bibbia cristiana". Poi c'è stato il discorso di Colonia e soprattutto il recente libro Gesù di Nazaret, con il dialogo col rabbino Neusner. Con tutti questi testi e contributi la teologia della sostituzione e l'insegnamento del disprezzo sono stati definitivamente messi al bando, in una linea di sviluppo dal primo (insufficiente) passo costituito dalla Nostra Aetate.
So bene che esistono ambienti cattolici - come quel gruppo il cui documento è stato pubblicato su Informazione Corretta - che sostengono che il vero punto più alto è stato la Nostra Aetate. Ma sbagliano e di grosso: la Nostra Aetate è stata il punto di partenza. Il fatto è che la Chiesa è divisa e ci sono correnti antiratzingeriane che qualsiasi cosa dica il Papa lo attaccano. Questo non dovrebbe riguardare gli ebrei, che se ne dovrebbero tener fuori e ragionare oggettivamente. E soprattutto non dovrebbero farsi strumentalizzare dalle correnti cattoliche ostili all'attuale Papa nelle loro campagne d'inverno. E invece accade il contrario. Ho messo in luce (su Shalom, vedi anche il mio blog) le tesi aspramente antigiudaiche contenute in un recente libro del cardinale Martini, sfidando a reagire e a mostrare che non esisteva un atteggiamento di "due pesi e due misure". Sfida vinta, purtroppo. Quelle affermazioni non hanno destato una sola protesta, malgrado in privato mi sia stata data ragione... Nel pieno della polemica sull'Oremus Martini ha invocato l'amore per gli ebrei indicando però precise misure di indottrinamento volte a facilitare l'"evangelizzazione dei non cristiani". Qualcuno ha protestato, ha detto una sola parola? Niente. Anche se, ancora una volta, in privato mi è stata data ragione. In pubblico, invece, il rabbino Laras, con retorica penosamente acquiescente, ha indicato Martini come il modello di dialogo ebraico-cristiano... Sconcertante.
Abbiamo capito che qualsiasi cosa dica Ratzinger per taluni è un "fascista", un "pastore tedesco", un "antisemita" ecc. ecc. Ma queste sono faccende politiche che non dovrebbero coinvolgere una valutazione oggettiva.
Aggiungo che trovo sconcertante il modo con cui è stato preso in faccia il micidiale schiaffo dell'annullamento della visita dell'imam della Grande Moschea alla Sinagoga, proclamando anzi: "le porte della Sinagoga restano aperte al dialogo fra islam e ebraismo". Nel frattempo venivano brutalmente chiuse a quello tra ebraismo e cristianesimo. Doppiamente sconcertante.
Sussmann dice che le porte le ha chiuse il Papa e che io commetto un "errore" perché vi è stato un ritorno all'"antigiudaismo rituale" della Chiesa. Non basta asserire, bisogna dimostrare e far fronte agli argomenti. Insisto fino alla noia che, una volta rimossa la teologia della sostituzione e le espressioni di disprezzo, l'antigiudaismo è tolto. Nella versione della messa in latino di Giovanni XXIII - su cui nessuno ha fiatato, forse perchè quello era un papa "buono" e di sinistra... - si parlava ancora di "accecamento", un termine tipico dell'antigiudaismo, guarda caso ripreso nel recente libro del cardinale Martini. Nella versione attuale quel termine è stato tolto ed è rimasta soltanto l'invocazione a che Israele si riunisca "tutto" nel riconoscimento di Cristo (in termini escatologici). Il senso di questa preghiera residua è stato spiegato da monsignor Ravasi (vedi qui) e pertanto non insisto.
Resta una domanda che non evito: non si poteva eliminare tutto? Le ragioni della scelta di mantenere una versione depurata dell'Oremus sono ancora evidenti dal testo di Ravasi e attengono alla volontà di sottolineare la fede in Cristo come qualcosa di centrale per il cattolicesimo e non un'opzione di cui quasi vergognarsi. Si veda ancora, al riguardo, quanto dice il rabbino Berger, nonché un'interessante pagina-intervista al rabbino Neusner su l'Osservatore Romano. È una scelta che riflette l'intenzione di trovare un delicato punto di equilibrio tra il rispetto per l'ebraismo e la riaffermazione della fede in Cristo. Perché continuare a porre al centro gli ebrei? Perché l'ebraismo ha un rapporto assolutamente speciale con il cristianesimo. D'altra parte, l'ebraismo rappresenta la punta di diamante della negazione teologica della divinità di Cristo. Perciò, quella preghiera residua, depurata di ogni accento di disprezzo antigiudaico, esprime un punto di equilibrio tra due esigenze: il legame assolutamente speciale con l'ebraismo e il desiderio escatologico del ricongiungimento delle due fedi in quella che (legittimamente) si ritiene vera, ovvero quella cristiana.
Ancora due osservazioni.
Si dice che questa insistenza - messa in latino, Oremus et pro iudaeis, riaffermazione della centralità della divinità di Cristo - testimoniano un pericoloso ritorno a una visione integralista, un "indurimento" dottrinario. Mettiamo pure che sia vero. Ma ci vuole un bel coraggio a dirlo, da parte del rabbinato italiano. Chi è che sta producendo un indurimento dottrinario senza precedenti che ha ribaltato il modello ortodosso ma aperto alla Toaff a favore di un modello rigidissimo, in particolare sulla questione dell'accettazione dei figli di madre non ebrea? È noto che tale scelta ha prodotto fratture profonde, persino la nascita di una comunità ebraica riformata a Milano, di primi nuclei in altre città e di una crisi a Torino. Come si fa a parlare di "indurimento dottrinario" altrui senza vedere la trave nel proprio occhio?
Infine, bisogna stare attenti a chiedere la soppressione delle preghiere altrui, quando affermano la superiorità della propria fede e lo fanno in modo non offensivo. Non sarò io a stendere una lista delle preghiere ebraiche che affermano la superiorità della fede ebraica, l'unicità del patto e che discreditano le fedi altrui. Non lo farò perché in questi giorni la rete (e anche la stampa) pullula di citazioni in tal senso, accompagnate da espressioni di fastidio e irritazione nei confronti di questi ebrei che non si accontentano mai e che non lasciano che altri facciano quel che sarebbe consentito soltanto a loro. Sono spesso espressioni che lasciano riemergere sentimenti antigiudaici. Sappiamo tutti che nel mondo cristiano questi sentimenti sono ancora molto diffusi: come potrebbe essere altrimenti dopo secoli di "insegnamento del disprezzo"? Mi chiedo però se si doveva scegliere la via maestra per andarli a riattizzare, invece di riannodare pazientemente il dialogo con coloro che sono disposti a tessere una trama di comprensione e di tolleranza. Mi chiedo se non si poteva aprire un dialogo, magari critico, sull'Oremus senza lanciare proclami e rotture addirittura decretando la sospensione di ogni attività o incontro riconducibile a qualsiasi forma di dialogo con i cattolici. Sottolineo con forza che una linea più riflessiva e costruttiva è stata indicata da consistenti parti del rabbinato non italiano. All'estero vi sono state proteste e critiche, ma nessuna ha raggiunto il livello acutissimo di quelle italiane. Qui si è scelta la linea dello scontro frontale, infischiandosene dei rigurgiti antiebraici che essa può provocare, e che sta provocando. Mi auguro che prevalga presto una linea più meditata, riflessiva e costruttiva. Se così fosse, mi scuso per la presunzione, ma avrò avuto in questo un piccolo merito.

======================================

Dal blog di Sandro Magister


Inaudito: i supertradizionalisti applaudono il cardinale Martini

Sull’ultimo numero di “Sì sì no no”, il periodico dei tradizionalisti estremi, compare un sorprendente osanna a una loro bestia nera, il cardinale Carlo Maria Martini.

L’occasione è un libro, “Le tenebre e la luce”, edito da Piemme, nel quale l’arcivescovo emerito di Milano pubblica un corso di esercizi spirituali da lui predicato a Gerusalemme nel giugno del 2007 sui capitoli della Passione nel Vangelo di Giovanni.

A proposito del sinedrio e della sua condanna di Gesù, Martini a un certo punto scrive:

“Ci troviamo davvero di fronte al crollo di una istituzione, una istituzione – notiamo – che avrebbe avuto il compito primario di riconoscere il Messia verificandone le prove. Sarebbe stato questo l’atto giuridico più alto di tutta la sua storia. Invece fallisce proprio lo scopo fondamentale […] in vista del quale era sorta”.

E prosegue:

“Si pone qui un problema gravissimo, quello della possibilità che un’istituzione religiosa decada: si leggono ancora i testi sacri, però non sono più compresi, non hanno più forza, accecano invece di illuminare. […] Le loro menti si sono accecate. Infatti lo spesso velo sino ad oggi rimane non rimosso quando leggono l’Antico Testamento, perché in Cristo soltanto esso si annulla. Anzi, fino ad oggi, quando si legge ad essi Mosé, un velo giace sopra il loro cuore”.

Veramente, prima che se ne fossero accorti quelli di “Sì sì no no”, queste tesi del cardinale Martini avevano fatto sobbalzare un osservatore ebreo, il professor Giorgio Israel. Su “Shalom”, la rivista della comunità israelitica di Roma, nel numero dello scorso novembre, Israel aveva scritto che Martini aveva compiuto “un salto logico sconcertante” decretando “la fine storica dell’ebraismo”, sostenendo che “il dono di Dio a Israele è stato revocato”, riproponendo “la teologia della sostituzione” e insomma “facendo fare un passo indietro persino rispetto alla Nostra Aetate”.

All’opposto, “Sì sì no no” scorge ora nel cardinale Martini un apprezzabile principio di ravvedimento rispetto alle sue precedenti posizioni “filogiudaizzanti”. Ed applaude a questo “inatteso sprazzo di luce”.

Ma di curioso c’è dell’altro. Sulle “menti accecate” e sul “velo sopra il cuore” hanno fatto leva le vibrate proteste di alcuni ebrei contro le formule in uso nella preghiera del Venerdì Santo secondo il rito antico liberalizzato da Benedetto XVI, preghiera in procinto di essere modificata. Ma proprio su tali concetti poggia l’argomentazione del cardinale…

giovedì 14 febbraio 2008

Si può salvare la scuola? Faccia a faccia tra Giuseppe Bertagna e Giorgio Israel

Il link porta a una sintesi. È possibile scaricare il pdf completo della discussione dal sito di Liberal

Torino se non altro ha fatto esplodere la doppiezza del “moderato” Ramadan

La vicenda del boicottaggio nei confronti dell’invito a Israele quale ospite d’onore alla Fiera del Libro di Torino ha avuto almeno un risvolto positivo: è caduta definitivamente la maschera di rispettabilità con cui Tariq Ramadan tenta di nascondere il suo volto di estremista. In un’intervista rilasciata ad Aki-Adnkronos International egli ha dichiarato che il boicottaggio deve esserci e in modo deciso. Rivolgendosi «non soltanto agli scrittori arabi e musulmani, ma a tutti gli uomini di coscienza» ha detto: «Dobbiamo affermare in modo chiaro che non si può approvare nulla che provenga da Israele». Una frase terribile: nulla può essere approvato… Non si potrebbe immaginare un rifiuto al dialogo più assoluto. Nei fatti si tratta di un’espressione razzista. Ma, attenzione! Tariq Ramadan ha successivamente smentito. Ha dichiarato che lui una frase simile non avrebbe potuto mai dirla, anche se aveva incitato al boicottaggio; anzi, che non aveva mai rilasciato dichiarazioni agli organi di stampa, come La Repubblica, che le avevano riprese (non parla dell’agenzia che è stata la fonte primaria). A questo punto, il vittimismo di Ramadan, secondo cui appena lui parla si mette in moto una “propaganda menzognera”, diventa ripetitivo e assume aspetti grotteschi. Anni fa se la prese con la “lobby ebraica” che controllava, a suo dire, la cultura francese: vi fu una levata di scudi e lui disse di essere stato frainteso. Poi dichiarò a un periodico italiano che giustificava i “martiri” suicidi, ed anche quella dichiarazione fu dichiarata falsa, malgrado le conferme del giornalista. E ora la storia si ripete con le frasi sul boicottaggio. Siccome alla versione che esista una congiura universale contro Ramadan (organizzata da chi? dalla “lobby ebraica”?) può credere soltanto lui, delle due l’una: o Ramadan è un totale sprovveduto e non sa comportarsi con giornali e agenzie, dice e disdice caoticamente; oppure qui è in gioco una strategia più sottile. In altri termini, quando si profilano delle situazioni particolari in cui si richiede una presa di posizione molto netta parte una dichiarazione radicale, persino una “fatwa”, come è di fatto quella raccolta dall’agenzia Aki-Adnkronos International. Poi, non appena il messaggio è stato recepito da chi doveva recepirlo, viene la smentita che restaura la facciata moderata per gli “altri”. Che si tratti della prima ipotesi o della seconda, il risultato è lo stesso. Non un intellettuale arabo o palestinese si discosta dall’indicazione del boicottaggio: colpisce la virulenza del linguaggio con cui lo scrittore anglo-pakistano Tariq Ali, dopo aver accettato di venire a Torino, ha cancellato prontamente l’invito con parole improntate al rifiuto totale di Israele. D’altra parte, coloro che vogliono credere per dabbenaggine o complicità che Ramadan sia un moderato trovano la smentita ad uso e consumo.
Poi ci sono le quinte colonne nostrane. È da notare, al riguardo, come uno dei maggiori sostenitori del boicottaggio a Torino, Gianni Vattimo abbia stabilito un parallelismo esplicito con la vicenda della mancata visita del Papa Benedetto XVI all’Università di Roma “La Sapienza”. Alla Sapienza – dice Vattimo – il Papa sarebbe stato ricevuto in pompa magna, talmente magna da non sopportare neppure la presenza di pochi contestatori. E aggiunge: «Questo caso di Israele alla Fiera è lo stesso». Non a caso, i boicottatori di Torino, con in testa Angelo D’Orsi sono calati alla Sapienza muniti di 1500 firme per manifestare il “diritto al dissenso” e la solidarietà con i colleghi “cattivi maestri”. Si dice però che ad ascoltarli non ci fossero più di quattro gatti.
(Tempi, 14 febbraio 2008)

mercoledì 13 febbraio 2008

Mettere la chiesa nell’asse del male antisemita è una follia

Dal 1967 dedico un impegno militante nella lotta contro l’antisemitismo ma non ho mai provato un malessere come quello provocato da certe posizioni recenti che, se dovessero prevalere, mi spingerebbero a dire: mi dimetto.
La vicenda della lista nera dei docenti è un modesto episodio tra tanti. Liste analoghe sono circolate, senza che succedesse nulla. Da anni certi docenti si occupano, nei loro blog, con ossessiva ostilità degli ebrei e di Israele. Non di rado sono comparse in rete minacce anche personali, con tanto di nome e cognome: è capitato anche a me e le solidarietà sono state avare. Invece, attorno a questo modesto episodio è scoppiata una tempesta mediatica senza precedenti che non si è vista per vicende ben più gravi come gli appelli al boicottaggio scientifico di Israele. Né si è vista tanta indignazione per le scandalose affermazioni circolate attorno alla campagna di boicottaggio della Fiera del libro di Torino. Tale è il caso dello slogan “Gaza come Auschwitz”, che è stato ripreso, come una giaculatoria, persino da taluni contrari al boicottaggio. Forse si vuol far credere che gli internati di Auschwitz fossero armati fino ai denti e sparassero centinaia di missili sulle cittadine circostanti.
Queste sono le tragiche infamie – propaganda goebbelsiana: ripeti mille volte una menzogna e diventerà una verità – che alimentano l’antisemitismo, messe in giro da piccoli gruppi capaci di captare l’attenzione, secondo un meccanismo ben descritto da Pierluigi Battista sul Corriere: «Pochi, prepotenti ma abili con i media». Ed è molto pericoloso il silenzio che circonda questi slogan e il modesto livello delle proteste attorno alle iniziative di boicottaggio, a fronte del clamore attorno alla “lista nera”.
Comunque, nulla autorizza a “temere un’altra notte dei cristalli”. Il Presidente del Congresso Ebraico Europeo Moshe Kantor deve avere scarse conoscenze di storia per fare raffronti simili. La vera notte dei cristalli è quella cui rischia di andare incontro l’Europa, ormai in fase di dissoluzione di fronte all’assalto dell’integralismo islamico, tra vescovi anglicani che propongono la legalizzazione della sharia e decisioni di conferire assegni familiari ai poligami. Di questo dramma l’antisemitismo è soltanto la misura della febbre.
Ancor più sconcertanti sono le dichiarazioni di Elan Steinberg, direttore del World Jewish Congress che indica come segnali di una drammatica situazione antisemita in Italia tre incidenti: il boicottaggio di Torino, la lista nera e la preghiera cattolica in latino per la salvezza degli ebrei. I primi due hanno con l’ultimo la stessa relazione che intercorre fra le nozze e l’equinozio. Steinberg è giunto a parlare di un asse del male operante in Italia formato da estrema destra, estrema sinistra e integralismo islamico con l’apporto della Chiesa. In più vi sarebbe la “sorpresa” dei comunisti, che egli confonde col vecchio PCI.
Circa la preghiera tridentina si può pensarla come si vuole ma è consigliabile la moderazione. L’autorevole rabbino David Rosen, presidente dell’International Jewish Committee per il dialogo interreligioso, pur esprimendo legittime perplessità, ha definito “rash decision” (decisione sconsiderata) l’interruzione del dialogo da parte del rabbinato italiano e ha invitato a non creare un casus belli. Anche un’assemblea di 400 rabbini americani ha invitato alla calma e alla ponderazione, e il suo presidente Alvin Berkun ha definito l’iniziativa del rabbino Di Segni «estrema e molto dannosa». Se è sconsiderato interrompere il dialogo, collocare la Chiesa nell’asse del male antisemita è un’autentica follia.
Ma, come se non bastasse, Steinberg presenta l’Italia come epicentro dell’antisemitismo e addirittura non esclude l’ipotesi di un boicottaggio nei suoi confronti. Egli è totalmente disinformato e qualcuno gli deve aver raccontato balle invece di spiegargli che l’Italia è uno dei paesi meno antisemiti d’Europa.
Giorni fa scrissi su questo giornale che “se” fossero state poste condizioni e richieste di bilanciamenti a Israele per confermargli l’invito come ospite d’onore al salone di Torino, sarebbe stato meglio non andare. Gli sviluppi successivi hanno mostrato che quelle condizioni non sono state poste e quindi che Israele può mandare dignitosamente la sua delegazione di scrittori a Torino. I boicottatori sono stati messi all’angolo, anche se tenteranno di organizzare qualche scandalo nello stile del boicottaggio della visita del Papa alla Sapienza. Per quel richiamo che avevo fatto a evitare situazioni umilianti, qualche buontempone alla Gad Lerner mi ha accusato di promuovere un boicottaggio simmetrico e addirittura di essere un “complice” dell’“opposta schiera” dei boicottatori. Ora, un minimo di coerenza richiederebbe un’energica presa di distanza da quello che è un vero appello al boicottaggio, e per giunta dissennato. È da augurarsi che posizioni come quella di Steinberg spariscano prontamente dalla scena. Perché, se dovessero prendere piede, avrebbero il problema di trovare soldatini abbastanza sciocchi da farsi arruolare in un simile guerra irresponsabile.
(pubblicato su Il Foglio, 13 febbraio 2008)
VEDI ANCHE: Informazione Corretta

domenica 10 febbraio 2008

Sulla questione della preghiera per gli ebrei nella messa in latino

Intervento sul Corriere della Sera del 10 febbraio 2008

Non debbo esibire credenziali avendo preso ferma e ripetuta posizione – su questo giornale e altrove – contro la pratica e la teoria delle conversioni forzate degli ebrei e il cosiddetto “insegnamento del disprezzo”. Una volta rimosso questo armamentario e il suo cardine, la “teologia della sostituzione” – ovvero la tesi secondo cui l’elezione di Israele è stata revocata e sostituita con quella conferita alla Ecclesia cristiana – cosa resta? Certamente il diritto di credere nella verità della propria fede. Come ha affermato il rabbino David Berger, purché i cristiani non denigrino l’ebraismo hanno il diritto di affermare che l’ebraismo sbaglia attorno a questioni centrali come quella della divinità di Gesù; poiché è valido il diritto simmetrico. Essi – osserva Berger – hanno anche il diritto di aspirare a che gli ebrei riconoscano la divinità di Cristo alla fine dei giorni e di affermare che la salvezza è più difficile per chi non è cristiano. Secondo Berger, la posizione ratzingeriana, in quanto evita un “doppio standard”, è più rispettosa per l’ebraismo di molte altre. Al contrario, secondo il rabbino Laras riaffermare che la verità sta in Gesù Cristo implica lo screditamento dell’ebraismo come fede fallace. Ma, se la Chiesa riconosce che l’ebraismo è la base solida su cui poggia il Cristianesimo, non si può negarle di ritenere che il cristianesimo costituisca un passo in avanti, come non si può negare agli ebrei il diritto di rifiutare tale passo. Proprio in quanto la questione della divinità di Gesù è il nodo cruciale di divergenza, è su di essa che si misura un dialogo franco e onesto, come quello tra Benedetto XVI e il rabbino Neusner. Invece, posizioni come quella di Laras servono soltanto a dare argomenti a chi sostiene che le religioni sono intrinsecamente intolleranti e non riescono a parlarsi se non imponendo all’interlocutore di piegarsi al suo punto di vista o, nel migliore dei casi, di tacere le divergenze in quanto offensive.
Dice Laras: cosa succederebbe se gli ebrei trattassero in modo simmetrico la fede cristiana? Lo fanno. Lo facciamo. Non ho bisogno di insegnargli che le preghiere ebraiche sono (inevitabilmente) intrise della convinzione di possedere il vero e la vera elezione. Quanto alla conversione, gli ebrei non la cercano soprattutto per specifiche contingenze storiche. Nel passato vi sono state conversioni anche massicce all’ebraismo, a meno di non credere alla favola che gli ebrei sono i discendenti geneticamente puri dei 600.000 che ricevettero la rivelazione al Sinai.
Tolte le conversioni forzate e l’insegnamento del disprezzo, che danno può venire da una preghiera per la salvezza degli ebrei, se non ispirata da malanimo e accompagnata da coercizione? E perché temere il desiderio di conversione? Mio padre – uomo tanto laico quanto di fede solida – fu invitato da un prete cattolico a un confronto con intento di conversione. Accettò e trascorse due giorni con lui. Poco ci mancava che le cose andassero all’inverso… Una fede sicura e libera da costrizioni non ha bisogno di arroccarsi, come non si ritrassero dal confronto i grandi maestri dell’ebraismo medioevale persino quando i tentativi di conversione erano sostenuti dalla violenza.
L’interruzione del dialogo propugnata dal rabbino Laras è regressiva e pericolosa, e avrebbe senso soltanto per una fede traballante e svuotata. Poiché questo non è il caso è da augurarsi la scelta di un atteggiamento più riflessivo e razionale.

So bene che questa presa di posizione susciterà dissensi, ma dopo attenta riflessione l'ho presa in coscienza.
D'altra parte mi sento confortato da questa dichiarazione del Rabbino David Rosen:


Reached in his office in Jerusalem, Rabbi David Rosen of the American Jewish Committee, a veteran of Catholic-Jewish dialogue, said that he too had his "hopes raised" that an explicit reference to conversion would have been excised. Rosen noted that the expansion of the Latin rite "had nothing to do with this prayer, and nothing to do with the Jews," but was rather an attempt by the Pope to mend fences with Catholic arch-traditionalists. Still, the language of the Good Friday prayer sounds to Jews to be "exclusivist and triumphalist," said the rabbi.
Rosen, who has worked with Benedict since he was a Vatican cardinal, said he worries that the Pope seems to "insulate" himself from top advisers who might alert him to potential fallout. Still, Rosen called his Italian rabbinical colleagues' break in dialogue with Catholics a "rash" decision. "There's so much at stake for Jews and Catholics and Benedict himself that we must ensure that this difficulty will not torpedo the commitment to advancing Jewish-Catholic relations," Rosen said. "Yes, we must speak up. But there is nothing to be gained from making this a casus belli."

"Rash decision" si traduce con "decisione sconsiderata"

Aggiungo un commento sulle dichiarazioni del Cardinale Martini riportate oggi dalla stampa:

«In vista del prossimo sinodo - che si svolgerà in Vaticano dal 5 al 26 ottobre del 2008 e sarà dedicato alla "parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa" - il porporato, noto biblista, propone alcune riflessioni ai vescovi che converranno a Roma da tutto il mondo. Martini, più specificamente, esorta ad "evitare di scendere al di sotto delle formule felici del Concilio vaticano II" e a "non perdere tempo prezioso" in discussioni già svolte nel corso degli anni (su temi come il rapporto tra Scrittura e Tradizione o sul metodo storico-critico per interpretare i Vangeli). Il gesuita auspica, invece, che il sinodo si concentri su questioni focali come la diffusione della conoscenza del testo biblico tra i fedeli. Il settanta per cento degli italiani "non hanno mai letto i quattro Vangeli", rileva il porporato, e "soltanto il quindici per cento li ha letti almeno una volta nella vita". Di qui il porporato avanza "sommessamente" una proposta: introdurre in ogni messa una "brevissima spiegazione", "non più di tre minuti", dei testi biblici della liturgia. Se il "popolo di Dio" conoscerà meglio la Bibbia, secondo Martini, "più facili e spontanee saranno le iniziative di evangelizzazione anche dei lontani e dei non cristiani con l'aiuto dei libri sacri". Tra di essi, gli ebrei».

Qui si parla di conversioni, e di conversioni hic et nunc. Ma in questo caso nessuno mena scandalo. Chissà perché.

sabato 9 febbraio 2008

Un commento alla lista nera dei professori "ebrei"

La vicenda è molto spiacevole e indicativa di un clima. Lungi da me minimizzarla. Soltanto che mi stupisce lo stupore. È da tempo che nel web circola questo pattume.
Due anni fa mi resi conto che sulla pagina web del mio Dipartimento alcuni docenti usavano inserire commenti politici e link a siti politici, il che è molto scorretto. Se vuoi farlo, fatti un blog per conto tuo, avrebbe detto Petrolini.
Provai a cliccare su alcuni di questi link e uno di questi conduceva direttamente a un post minaccioso nei miei confronti. Diceva: "a Giorgio Israel da parte di AntiSion" e seguiva una stella di David che pulsando si mutava in una svastica con la scritta "nazi israel".
Volete vederlo? È ancora in rete al seguente indirizzo (se non lo tolgono proprio ora...):
http://italy.indymedia.org/news/2005/05/789740_comment.php
Feci la dovuta segnalazione alle autorità di polizia e il direttore del mio Dipartimento fece rimuovere il link. Oltre al fatto che essere preso di mira in questo modo non è piacevole, che il link a una simile porcheria sia stato messo da un collega e proprio sul sito del Dipartimento di appartenenza è una provocazione senza pudore.
Ma il "collega" responsabile della simpatica attenzione nei miei confronti addirittura si lamentò dicendo che si violava la sua "libertà di espressione"...
Pensate, quella per lui era "libertà di espressione"... Bella stoffa di educatore.
E poi perché stupirsi di come è andata con la visita del Papa e con il boicottaggio a Torino? Questo è il concetto di libertà e legalità dei nostri "cattivi maestri". E non è certo un caso che uno degli appelli antiPapa sia stato firmato dall'"educatore" di cui sopra.
Potrei aggiungere che un altro "collega" della mia università si occupa assiduamente di me, dedicandomi pagine e pagine di blog con simpatici appellativi del tipo: "Giorgio l'Israelitico", "il nostro israeliano", "dubbio connazionale", "noto ebreo", "un certo docente il cui nome dice tutto", ecc. ecc. e il mio nome è in una lista intitolata "nemici".
Potrei continuare con altri casi analoghi.
Quindi, quel che è saltato fuori è molto grave, ma è la punta di un iceberg e non un fatto nuovo. È qualcosa che viene accuratamente coltivato e innaffiato con l'acqua dei boicottaggi contro Israele. Non è certo un caso che una buona metà dei docenti della lista nera non siano ebrei ma soltanto firmatari di appelli contro il boicottaggio di Israele... E poi voglio vedere chi ha la faccia di bronzo di continuare a dire che la forma attuale dell'antisemitismo non è l'antisionismo.

martedì 5 febbraio 2008

UN PO' DI CHIAREZZA DI FRONTE ALLA VOCE DELL'IPOCRISIA



Chiariamo. Forse il titolo che ha dato Il Foglio al mio appello contenuto nel post precedente è un po' fuorviante, ma se si legge il testo è chiaro che non si tratta di un appello a ritirarsi comunque.
Il senso il seguente. Mettiamo che Israele venga accettato come invitato ufficiale soltanto se insieme alla "Palestina". Oppure mettiamo che, per far digerire l'invito, occorra contraccambiarlo con un invito ai palestinesi, 30 contro 30, come ha detto qualcuno (non stiamo parlando di ipotesi ma di proposte esplicite). In tale circostanza, meglio andarsene e fare la Fiera del Libro altrove. Non è un boicottaggio della Fiera, è una questione di dignità.
Battista ha ripreso il discorso e, con un dissenso retorico da quanto avevo scritto, ha detto: "no, non si può cedere, bisogna fare muro".
D'accordo, figuriamoci, d'accordissimo - gli ho risposto con una lettera sul Corriere - a patto che questa diventi la linea ufficiale:

"Signor Direttore,
ho letto l'eccellente articolo di Pierluigi Battista "Stavolta sfidiamo il boicottaggio" (di Israele alla Fiera del Libro di Torino). Nel mio intervento sul Foglio non ho inteso proporre atteggiamenti aventiniani, bensì dire che è irricevibile un invito a Israele sub condicione, menomato da bilanciamenti volti a calmare i contestatori: i ricatti dei violenti non possono essere premiati, soprattutto nella cornice della fatwa emessa da Tariq Ramadan ("non si può approvare nulla che provenga da Israele"). La risposta di Battista "No, stavolta bisogna fare barriera" è quella giusta. Speriamo che diventi la risposta ufficiale. Giorgio Israel "


Pare che tutto ciò sia servito. La linea ufficiale ribadita è: invito ufficiale senza se e senza ma.

Meglio che taccia allora l'ineffabile Gad Lerner che ha scritto sul suo blog:

"(...) Gli scrittori israeliani sono grandi anche per la loro capacità di mettersi nei panni dei palestinesi. Per questo subiscono attacchi dalla componente guerrafondaia dell’opinione pubblica israeliana. Non a caso nei giorni scorsi, di fronte all’imbecillità delle proposte di boicottaggio, un esponente della Comunità ebraica italiana, Giorgio Israel, specialista nell’”armiamoci e partite”, ha auspicato che Israele rifiuti per protesta l’invito di Torino. Ignorando la fatica con cui da decenni lo Stato ebraico opera in senso contrario, cercando di partecipare a tutte le manifestazioni sportive, scientifiche, culturali da cui il rifiuto arabo vorrebbe tenerlo escluso. In tempo di guerra i boicottatori non faticano mai a trovare complici nell’opposta schiera. (...)"

Non ho mai detto che Israele deve rifiutare per protesta l'invito di Torino. Ho detto che deve rifiutare UN INVITO DIMEZZATO. Ma Gad Lerner fa finta di non capire e mi definisce specialista dell'armiamoci e partite. Di grazia, quando avrei ripetutamente invitato ad armarsi per poi far partire gli altri? E poi, in questo caso, che vuol dire? Che poi, una volta convinto gli israeliani a ritirarsi, sarei andato a Torino? Che scemenza...
E poi mi colloca nell'"opposta schiera" dei boicottatori... Ma certo! Lui della schiera opposta ai boicottatori non fa parte. E certo, lo sapevamo, lui sta in mezzo: tra i boicottatori e coloro che si oppongono al boicottaggio. Teme di essere confuso con i "guerrafondai israeliani". Insomma, fa la parte del pesce in barile. Difatti, la sua voce non si era sentita. Si sente soltanto adesso che l'opposizione al boicottaggio ha contribuito a che l'invito sia senza se e senza ma. E chiama "complici" dei boicottatori quelli che stanno nell"opposta schiera". I suoi insulti mi rimbalzano, come si dice volgarmente a Roma, ma lui dovrebbe vergognarsi, ammesso che ne sia capace.

P.S. Tra gli "imbecilli" figurano moltissimi suoi compagni di partito e di Unione. Perché non se la prende più utilmente con costoro?

===========

Stavolta sfidiamo il boicottaggio

Pierluigi Battista   
domenica 03 febbraio 2008
Corriere della Sera


No,stavolta bisogna fare barriera. Stavolta non è possibile non avvertire il divario morale tra le immagini ancora fresche del raccoglimento per la Giornata della memoria e l'intimazione al silenzio minacciata contro gli scrittori ebrei. Stavolta bisogna chiedere ad Abraham Yehoshua, Amos Oz e David Grossman di vincere la loro ritrosia e di sfidare il boicottaggio anti-israeliano alla Fiera del libro di Torino. E alle autorità italiane, ovviamente, di tutelare il loro diritto di parola.

Si comprende lo spirito che ha indotto Giorgio Israel sul Foglio a consigliare a Israele il boicottaggio dei boicottatori, un gesto ascetico e pedagogico di rinuncia che, ricalcando la scelta di Benedetto XVI di non recarsi alla Sapienza, rendesse ancora più evidente il volto intollerante degli imbavagliatori di professione. Stavolta è diverso. Chi protesta perché a Torino saranno presenti gli scrittori israeliani non contesta soltanto il diritto di esprimere un'opinione: contesta loro il semplice fatto di esistere. Considerando Israele come il frutto di una brutale usurpazione, ogni israeliano meriterebbe perciò di essere trattato come un usurpatore. Cancellato. Indegno di esistere. E dunque bruceranno senza pudore, come al solito, le bandiere con la stella di Davide. Accetteranno nelle loro schiere, come al solito, chi si traveste da terrorista, con la cintura esplosiva ben esposta attorno al corpo come quella usata dagli jiahdisti per deflagrare nelle strade di Tel Aviv e Gerusalemme allo scopo di uccidere quanti più «sionisti» (bambini compresi) è possibile.

Qualche anno fa un corteo che si diceva solidale con gli oppressi e i perseguitati del mondo circondò con bastoni e urla raccapriccianti il Ghetto ebraico di Roma, quello dei rastrellamenti del 16 ottobre 1943, destinazione Auschwitz. Non ci fu un grande sdegno, come se quell'episodio rappresentasse qualcosa di sgradevole certo, ma normale. Come è normale bollare i figli di Israele come i «nuovi nazisti» e suggerire spaventose somiglianze iconiche tra la croce uncinata e la stella di Davide. Ecco, non può più essere normale che la semplice presenza degli ebrei di Israele a Torino sia considerata addirittura come un'offesa. Non può più essere normale che una minoranza fanatica disponga del diritto dei torinesi di ascoltare ciò che hanno da dire gli scrittori israeliani.

Non può essere normale che vinca con il suo appello al boicottaggio Tariq Ramadan, ideologo dell'islamismo fondamentalista, un volgare antisemita che dopo l'11 settembre accusò gli intellettuali francesi di essere alla mercé di una «cricca» di ebrei e ciò nonostante viene calorosamente accolto come una creatura esotica nei salotti dell'intellighenzia italiana. Non è normale che il direttore della Fiera del libro torinese Ernesto Ferrero sia costretto a giustificare un atto coraggioso ma che dovrebbe essere, questo sì, considerato persino ovvio: invitare chi scrive libri a una festa del libro. Non è normale che Valentino Parlato sulle colonne del manifesto venga lasciato solo e insultato perché ha criticato la scelta dissennata di boicottare gli ebrei. Non è normale che uno scrittore come Tahar Ben Jelloun, schierandosi su Repubblica contro il boicottaggio di Torino, inviti a dissociare le responsabilità degli scrittori israeliani da quelle del governo di Israele: loro cui viene concessa la patente d'innocenza, quest'ultimo colpevole per definizione. Colpevole comunque, colpevole di esistere, colpevole di esser nato sessant'anni fa sulla base di una spartizione tracciata dall'Onu per dare una vita a uno Stato nelle cui librerie sono liberamente esposte le opere di Edward Said, l'intellettuale palestinese e anti- israeliano il cui nome è ancora oggi tassativamente proibito a Gaza, dove spadroneggiano gli squadroni di Hamas. Non è normale che si accrediti come paladino della lotta all'oppressione chi non spende una parola per protestare contro gli Stati in cui si fa scempio quotidiano di diritti umani fondamentali. E non è normale che esponenti piemontesi del Pdci e di Rifondazione aderiscano impunemente a questa campagna di intolleranza estranea, ne siamo certi, alla sensibilità di Fausto Bertinotti.

Per questo è un buon segnale che gli organizzatori della Fiera tengano duro, che gli sponsor privati, come ha sostenuto Franzo Grande Stevens, non possano assistere muti a una simile campagna censoria, che le istituzioni di Torino e del Piemonte dicano che non intendono cambiare la loro linea. Per questo il bel gesto della rinuncia stavolta non funzionerebbe. Non servirebbe a rompere l'incantesimo di assuefazione che ha favorito il diffondersi della prepotenza intollerante. Stavolta a Torino gli scrittori, gli israeliani, gli ebrei devono poter parlare.

sabato 2 febbraio 2008

Un paese non tratta sulla sua dignità, Israele rinunci ad andare a Torino

La gazzarra attorno all’invito a Israele come paese ospite della XXI Fiera del Libro di Torino sta assomigliando maledettamente alla vicenda della mancata visita del Papa alla Sapienza. Ricordiamo i tre fattori che sono intervenuti nel meccanismo che ha determinato la rinuncia del Papa. Il primo è stata la palla “culturale” lanciata da un gruppo di docenti sulla base dell’argomento inconsistente che il Papa voleva rifare il processo a Galileo. Il secondo fattore è stato il solito gruppo di violenti che staziona alla Sapienza da tre generazioni, che ha raccolto la palla e ha minacciato sfracelli, contestazioni acustiche e peggio. L’interazione di questi due fattori ha fatto crescere la tensione alle stelle. È intervenuto allora il terzo ingrediente, ovvero l’ignavia istituzionale, in particolare del governo che evidentemente non ha dato al rettore le garanzie del caso, se è potuto accadere che i violenti occupassero il rettorato e ottenessero, attraverso un ricatto, il controllo di gran parte dell’area antistante l’Aula Magna per autogestire la contestazione. L’aspetto inaudito è che vi sia chi difende l’idea che agire così sia garantire la libertà di espressione. Ma che paese è mai quello in cui si ritiene “democratico” ricevere un invitato a pernacchie e pomodorate, offrendo una piattaforma di lancio adeguata a cogliere il bersaglio? È il paese in cui certi “educatori” pensano che sia libera espressione del pensiero, garantita dalla Costituzione, entrare in un’aula, srotolare uno striscione e sbraitare slogan impedendo di parlare chi è stato designato a farlo. Perciò, ha fatto benissimo il Papa a non andare.
Ora a Torino si sta apprestando uno scenario analogo, riservato a Israele. Hanno iniziato i soliti “intellettuali” a lanciare la palla al centro, per dare inizio a una partita in cui sono scesi in campo spezzoni della sinistra e il muro compatto degli intellettuali e scrittori arabi; insomma, il solito schieramento di condannatori professionali di Israele, che non hanno fatto udire neppure un sospiro in occasione della dichiarazione da serial killer dello sceicco Nasrallah in cui ha elencato i pezzi di cadaveri israeliani in suo possesso. È gente che non direbbe una parola se venisse invitato come paese ospite il Sudan o l’Iran, che non ha nulla da dire sugli innumerevoli sterminii che dilagano in tutto il mondo, ma che ha la spudoratezza di definire questo invito una “intrusione” di Israele nella Fiera del Libro… Chi ha dissentito da costoro a sinistra? Quasi nessuno, salvo qualche coscienza inquieta, come Valentino Parlato, che ha deprecato quella che gli sembrava una discriminazione che sfociava nell’odio antiebraico. Ma il mettersi al riparo dietro la condanna di ordinanza non gli è servito a evitare un diluvio di deprecazioni dei militanti: chi di estremismo ferisce di estremismo perisce. Poi è intervenuto puntuale il secondo ingrediente, ovvero la previsione di una contestazione violenta che ha suscitato prontamente turbamenti e incertezze circa le sorti della Fiera.
E le istituzioni? Traballano o tacciono. Traballa il consiglio della Fiera che deve riunirsi per decidere come procedere. Per decidere cosa, di grazia? Questo è un invito a Israele e non deve essere controbilanciato da nulla o legittimato da purificazioni di sorta. Quando, nei prossimi anni, verranno invitati altri stati, varrà lo stesso criterio. L’unica decisione dignitosa è che Israele sia invitato da solo, senza patteggiamenti e senza i contrappesi di altri interventi. Punto. Il resto sarebbe un cedimento vergognoso ai violenti e agli intolleranti.
Le istituzioni più in alto tacciono. Non una parola dagli alti dirigenti della sinistra, da cui pure provengono i veleni. Non una parola, per dire, dal presidente della Camera. Né il ministro Amato, che ha spiegato durante la Giornata della Memoria che dalla discriminazione nasce la persecuzione, trova la forza di battere il pugno sul tavolo.
Allora rivolgiamo due richieste, nel caso sciagurato in cui non venisse confermato, con dignità, senza controcanti e contrappesi, l’invito a Israele. Capiamo la prudenza diplomatica da parte israeliana ma è bene pesare fino in fondo la posta in gioco. Nel suddetto caso sciagurato rivolgiamo l’appello a Israele di ritirarsi dalla Fiera. Saremo in tanti, inclusi gli scrittori che si ritireranno dalla (in quel caso) squalificata Fiera, a organizzare eventi in tutta Italia per presentare nelle sedi più opportune la cultura israeliana. E rivolgiamo lo stesso invito agli scrittori israeliani che dovrebbero essere invitati, e che sono troppo prestigiosi per accettare il piatto di lenticchie di una manifestazione condizionata dall’intolleranza e dall’odio. Quando si profilano circostanze che ricordano, in tutto e per tutto, la campagna del 1937 che precedette l’emanazione delle leggi razziali, bisogna essere all’altezza della situazione. Perciò, o a Torino con dignità e libertà e senza umilianti compromessi, oppure in altre sedi libere e tra uomini liberi.
(Il Foglio, 2 febbraio 2008)