sabato 7 aprile 2007

Chi di radicalismo ferisce di pacifismo perisce. Il compagno Fausto ora lo sa

(Tempi, 5 aprile 2007)

Dunque, anche a Bertinotti è toccata una contestazione da dove meno se l’aspettava: da sinistra. All’Università di Roma “La Sapienza” una cinquantina di studenti radicali lo ha accolto a suon di “buffone”, “assassino”, “guerrafondaio”. Il Presidente della Camera ha osservato: «Ho capito di cosa si tratta. Non è il movimento per la pace». Non sarei così sbrigativo: con ogni probabilità si tratta di suoi figliocci e l’accaduto testimonia una difficoltà di rapporti molto seria con una vasta galassia che ha sempre considerato Rifondazione come referente politico.
Di che stupirsi, peraltro, quando si è predicato per anni il pacifismo “senza se e senza ma” e poi si è costretti a fare i conti, sia pure in modo blandissimo, con la realtà e con il realismo? Basta una minima concessione alla realtà, anche infinitesima purché non nulla, per entrare in rotta di collisione con la linea della pace a tutti i costi. Dice Bertinotti che si tratta di «un’area estrema della sinistra che contesta la non violenza». Stupisce che una persona intelligente e lucida nel ragionare – a differenza di certi Talleyrand da strapazzo – sia caduto in pieno in questa contraddizione. Quando ci si muove all’interno di linee basate sull’estremismo del “senza se e senza ma” si finisce inevitabilmente nella violenza. I pacifisti ad ogni costo sono per forza di cose dei violenti perché le posizioni assolute implicano l’intolleranza: non a caso “lottano” per la pace totale… Per averlo trascurato Bertinotti si è bruscamente risvegliato in mezzo a un ossimoro.
In linea di principio, nessuna persona sensata può non volere la pace. Il guaio è che esistono degli insensati – del genere Hitler o Ahmadinejad – che considerano la guerra come il mezzo ideale per imporre la loro visione del mondo e per i quali l’unico trattamento da riservare ai loro avversari è la soppressione. Che si fa con costoro? Non è lecito neppure difendersi?
Ricordo una trasmissione televisiva in cui un sacerdote assolutamente pacifista veniva incalzato con domande del tipo: «Lei che avrebbe fatto con Hitler?». E lui si arrabbattava con improbabili scenari di resistenze passive, fino al lancio di mazzi di fiori nei cannoni. Il radicalismo ha anche un volto ridicolo. Il guaio è che ha anche un volto cinico, perché è difficile spiegare quale giustizia sia quella che consente ai criminali di spadroneggiare indisturbati, e quale senso morale sia quello che ti permette di assistere passivamente alle stragi degli innocenti senza provare vergogna. Quel sacerdote, in fondo, era una brava persona: sudava e soffriva nella sua contraddizione insanabile. Ma c’è un modo di non soffrire, ed è quello di considerare gli assassini – del genere dei tagliatori di teste talebani o di coloro che spediscono donne e bambini a esplodere nei caffè israeliani – come vittime, che fanno del male sì, ma per colpa di qualcun altro e quindi sono giustificati.
I pacifisti “senza se e senza ma” sono stati educati a dividere il mondo in due: da un lato i “nemici” (Occidente, Israele) cui soltanto è imposto il divieto assoluto di guerra, dall’altro coloro che sono giustificati a compiere violenze in nome di una serie di ideali o di esigenze. Ricordate i “Partigiani della pace” di stalinista memoria? I pacifisti di oggi sono una variante della stessa scuola, con i dovuti aggiornamenti all’attualità. Il radicalismo conduce alla violenza e la parola “radicalità” Bertinotti l’ha pronunziata appena ieri, quando esprimeva il desiderio di essere a Vicenza, a marciare assieme ai pacifisti “senza se e senza ma”.

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