giovedì 30 marzo 2006

Un personaggio che si descrive da solo

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Al mio articolo sull'eugenetica (vedi il precedente post), il signor Cassata ha ritenuto di inviare la seguente risposta cui ho controrisposto come segue, sempre sul Foglio.
Molto istruttivo. Ecco come educa l'Università oggi i giovani ricercatori. Non a ragionare civilmente, magari anche duramente ma civilmente, ma a imbastire risse ideologico-politiche con uno stile da Santa Inquisizione o da Procuratore Vishinskji (è la stessa cosa): costruisco un'immagine falsa di te, ti denigro e continuo a farlo, qualsiasi cosa tu dica, con la classica tecnica di ribaltare ogni discorso che fai.
Fortunatamente non siamo nel Medioevo e lo stalinismo non ha più gli strumenti di potere di un tempo.
Alla fine, gente del genere può ottenere un solo risultato: mostrare a tutti di che pasta sono fatti e soprattutto di che pasta sono fatti i loro "maestri".

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Al direttore - In riferimento all’articolo di Giorgio Israel (“Non esiste il bello dell’eugenetica”), pubblicato sul Foglio il 21 marzo scorso, mi permetto di puntualizzare soltanto su due argomenti, fra i numerosi confusamente affastellati dall’autore nella sua critica al mio libro (“Molti sani e forti. L’eugenetica in Italia”, Bollati Boringhieri): il rapporto eugenica-razzismo e il legame “razza”-scienza.
Per quanto concerne il primo punto, l’assimilazione di Israel dell’eugenica al razzismo rivela semplicemente una profonda ignoranza della storiografia internazionale sul tema. Cito soltanto, come esempio, il caso paradigmatico della Germania. Numerosi studi – Israel può leggere, fra gli altri, “Peter Weingart, Paul Weindling o Sheila Weiss” – hanno chiaramente dimostrato come l’eugenica tedesca non possa essere tout court identificata con il razzismo e l’antisemitismo nazisti. Il medico Wilhelm Schallmayer, fondatore dell’eugenica tedesca, condannava l’idea della superiorità della “razza germanica”; disprezzava la “psicologia razziale” di Vacher de Lapouge, Ammon o Woltmann; esaltava la civiltà cinese e quella mediterranea. Tra il 1900 e il 1932, la componente maggioritaria delle organizzazioni eugenetiche tedesche – comprendente non solo conservatori, ma anche liberali, socialdemocratici, centristi cattolici ed ebrei – era schierata su posizioni nettamente contrarie al razzismo völkisch: la sezione berlinese della Deutsche Gesellschaft für Rassenhygiene, nel 1931, abbandonerà perfino il termine Rassenhygiene, sostituendolo con quello, più neutro, di Eugenik.
Nel contesto italiano, l’analogia eugenica-razzismo, unita al tema del “precorrimento” (l’eugenica come “anticipazione” e legittimazione del razzismo fascista) ha non a caso condotto Israel – nel saggio “Scienza e razza nell’Italia fascista” (Il Mulino, Bologna 1998) scritto insieme a Pietro Nastasi – a errori grossolani, che dimostrano la sua scarsa conoscenza delle fonti e del contesto storico. Come quando, ad esempio, Ettore Levi, paladino del birth control in Italia (morto suicida nel 1932), viene annoverato fra i “precursori” del razzismo fascista, dimenticando come il regime lo considerasse, per il suo neomalthusianesimo, un avversario del pronatalismo “quantitativo” e come “La Difesa della Razza”, in un feroce trafiletto del 1939, lo ricordasse ancora come uno degli esponenti più pericolosi della “scienza ebraica”.
Per quanto riguarda, invece, il rapporto “razza”-scienza, la critica di Israel appare quanto meno anacronistica, e l’anacronismo – diceva Lucien Febvre – è il peccato capitale dello storico. Dal punto di vista dell’indagine storiografica, il vero problema non consiste tanto nel denunciare il concetto di “razza” come concetto “non scientifico”, quanto piuttosto nello studiare come tale concetto sia stato usato dalla comunità scientifica internazionale in modalità e contesti differenti. A tale proposito suggerisco a Israel di leggere i capitoli di un recente libro pubblicato da Claudio Pogliano (“L’ossessione della razza”, Edizioni della Normale, Pisa 2005), dedicati ai dibattiti che condussero all’elaborazione degli Statements on Race dell’Unesco (1949-1967): vi scoprirà come, anche all’interno di un’organizzazione internazionale che aveva posto la lotta al razzismo fra gli obiettivi della sua azione, sia stato estremamente difficile, per antropologi e genetisti non razzisti, rinunciare alla parola e al concetto di “razza”.
Altre questioni – i razzismi biologico e spirituale, i caratteri dell’antisemitismo fascista – richiederebbero un lungo discorso, e questa non può esserne evidentemente la sede. Altre ancora – la mia carriera accademica o l’uso pubblico del concetto di eugenica – appartengono – per gli argomenti e il linguaggio adottati da Israel – alla sfera dell’insulto personale e della strumentalizzazione ideologico-politica, non certo a quella di un confronto serio fra posizioni storiografiche anche radicalmente contrapposte.
Francesco Cassata


La replica di Francesco Cassata al mio articolo (“Non esiste il bello dell’eugenetica”, 21 marzo) non meriterebbe una risposta se non per segnalarla al lettore come un perfetto modello del “costume” che denunciavo in quell’articolo.
Immaginate che vi si accusi di aver detto la tesi A, qualificandola come una stupidaggine e che voi rispondiate di aver detto qualcosa di ben diverso da A, diciamo la tesi B. Vi aspettereste che vi si risponda che anche B è falsa, oppure che si dimostri inequivocabilmente che B è equivalente ad A. Ebbene no: vi si risponde semplicemente dicendo che siete un ignorante perché… avete detto A. Insomma, tu hai sbagliato a dire A per la semplice ragione che io dico che tu hai detto A.
Non mi interessa dirimere se un simile modo di fare sia dovuto a difficoltà di comprensione o a un approccio di tipo stalinista, per cui, una volta decretato che hai commesso un fatto puoi fare qualsiasi cosa salvo una: negare di averlo commesso.
Nel mio articolo sostenevo molte cose, le quali non erano “affastellate” soltanto per criticare il libro di Cassata: veda di dare una calmata al suo egocentrismo. Comunque, in sintesi: 1) che l’eugenetica è nata in stretta correlazione con il concetto di razza e attiene all’idea di miglioramento della razza (della stirpe o della specie) e quindi non esiste – per definizione – un’eugenetica che si curi dell’individuo singolo indipendentemente da parametri generali e fini collettivi; 2) non dicevo affatto che eugenetica = razzismo (tantomeno che eugenetica = antisemitismo!), ma che l’eugenetica propugna pratiche di selezione pericolosamente contigue a una visione razziale e che, per la sua stessa natura, fornisce l’argomentazione teorica e “scientifica” atta a giustificare l’adesione a politiche razziali e quindi a creare consenso nei confronti di esse; 3) che tale era il senso dell’interpretazione che sorreggeva il libro mio e di Pietro Nastasi (“Scienza e razza nell’Italia fascista”), e che quindi le critiche (fra cui quella di Cassata) secondo cui avremmo sostenuto una tesi di “precorrimento” ovvero di un “piano inclinato” che avrebbe condotto dall’eugenetica alle politiche della razza (in particolare antiebraiche) erano completamente infondate. La nostra interpretazione era ben diversa ed escludeva esplicitamente ogni teoria del “piano inclinato”, tantomeno l’idea di una correlazione meccanica tra eugenetica e razzismo antisemita e che non era corretto tentare di confutarci inchiodandoci a una tesi che non era la nostra (se mai di altri).
E invece si ricomincia daccapo. Cassata dice che sarei un «ignorante» perché non saprei che è stato «chiaramente dimostrato come l’eugenica tedesca non possa essere tout court identificata con il razzismo e l’antisemitismo nazisti» e mi accusa di aver usato il tema del “precorrimento”… E allora cosa concludere? Per esser buono non dirò che egli fa orecchie da mercante, ma soltanto che le sfumature non appartengono al suo mondo. Egli continua dicendo che la “nostra” teoria del “precorrimento” (e dàgli…) conduce a errori grossolani come l’annoverare Ettore Levi fra i “precursori” del razzismo fascista. Inutile dire che neppure questo abbiamo mai detto. Abbiamo piuttosto ricordato che Levi era assertore dell’idea che l’eugenetica aveva la funzione di «rialzare la qualità della razza» e di farlo anche «impedendo l’unione fra elementi disgenici». Continuo a trovare detestabili simili progetti – che nulla hanno a che fare con la “scienza” ma sono progetti puramente ideologico-politici – e continuo e ritenere che un simile modo di pensare abbia contribuito a creare un’atmosfera malsana e favorevole alla diffusione di idee deleterie. Questo non vuol dire che Ettore Levi sia stato un precursore del razzismo antiebraico: c’è bisogno di dirlo? Il poveretto si rivolterebbe nella tomba a sentirselo dire, il che non è in contraddizione con la tesi che i suoi propositi siano stati assai discutibili. E il fatto che egli sia stato denigrato come scienziato ebreo e nemico dell’ideologia razziale fascista dalla rivista “La Difesa della Razza” non dimostra un bel niente. Nel periodo iniziale del fascismo, Mussolini in persona presentò Einstein come un precursore del fascismo, ideologia a suo dire super-relativista. Alla fine, Einstein diventò l’emblema della più fetida scienza ebraica. Infatti, non esiste alcun “piano inclinato” o “precorrimento”. Forse Cassata non sa che sono esistiti anche ebrei fascisti, e persino ebrei che difendevano la superiorità della razza italica, che alcuni tra i maggiori teorici del diritto corporativo fascista sono stati ebrei, e che costoro si sono visti poi accusare come nemici del regime e della patria. Oppure Cassata sa queste cose, ma si tratta di “contraddizioni” difficili da far rientrare nella sua storiografia in bianco e nero. Pensa che, l’eugenetica di Levi fosse “buona” e scientifica perché progressista, mentre quando era promossa da scienziati fascisti era comunque la “peggiore”. Ecco perché certe valutazioni gli risultano semplicemente incomprensibili, e le cataloga come “errori”. Sempre ad esser buoni e non voler dar credito al sospetto che stia facendo le orecchie da mercante.
L’eugenetica è sempre stata (e continua ad essere) una pseudoscienza altamente rischiosa, così come l’antropologia fisica. Alla sua costruzione hanno contribuito scienziati reazionari e progressisti, e se la sua storia può insegnarci qualcosa è che la legittimazione in quanto “scientifici” di concetti di natura prettamente ideologica – come quello di razza, di stirpe e anche di etnia – può condurre a giustificare come “oggettive” e neutrali conclusioni che contengono invece tutti i veleni inerenti a quelle premesse ideologiche.
Lasci perdere quindi Cassata le sue saccenti lezioncine a base di citazioni di Febvre sull’anacronismo come peccato capitale dello storico. Dice che mostrare il carattere non scientifico del concetto di razza non è il vero problema: dal punto di vista della storia della scienza lo è certamente. Abbia quindi Cassata il senso del ridicolo di non fare il Croce in sedicesimo. Peraltro, studiare come sia stato usato storicamente il concetto di razza dalla comunità scientifica internazionale è precisamente quel che abbiamo fatto. Parte di questa storia è la progressiva constatazione del tragico errore strutturale che è alla base dell’eugenetica, nonché dell’antropologia fisica, e che giustamente ha fatto parlare Lévi-Strauss di un “peccato originale”. Dimenticare la natura specifica e caratteristica dell’eugenetica, facendo finta che sia stata una scienza al pari dell’astronomia è ingenuo, e conduce a cascare con tutte le scarpe nella tesi ideologica di un’eugenetica “buona” e “cattiva”, in dipendenza dei suoi portatori, e nella riproposizione – questa sì sconcertante anacronismo – di un’eugenetica per il nostro tempo.
Quanto agli insulti, Cassata avrebbe fatto meglio a rileggersi l’introduzione al suo libro e constatare: la sua pretesa comica di avere i titoli per attribuire voti a destra e manca; la petulante insistenza a definire “errori” le opinioni altrui senza neppure tentare di capire se dietro vi sia qualche ragione che egli non è stato capace di approfondire; l’accusa di ignoranza e strumentalismo che riversa su coloro che hanno indicato i rischi dell’eugenetica nel corso del dibattito referendario sulla procreazione assistita; mentre sarebbe invece giustificata la pretesa di ricavare dal suo compitino storiografico la tesi che l’eugenetica è il sogno laico del miglioramento della specie umana. Insomma, chi critica l’eugenetica è un ideologo ignorante, mentre chi la difende a spada tratta, anche se in penuria di argomenti, è invece un paladino della conoscenza e del progresso…
Giorni fa Il Foglio ha ricordato una frase di Simon Wiesenthal: «Quando, oggigiorno, sento nuovamente i medici discutere di eutanasia, parlando di ‘uccisioni compassionevoli’, l’orrore si impadronisce di me: un titolo accademico non è una garanzia contro comportamenti sadici e psicopatici […]. Prima i ‘malati incurabili’, poi i ritardati e i vecchi. Molto presto tutti coloro che avevano un qualche genere di disabilità divennero indegni di vivere». Ma già, dimenticavo che Wiesenthal non era un sognatore laico del miglioramento dell’umanità. Doveva essere un ignorante, un imbecille e un ideologo strumentalizzatore, che per poco ha mancato l’occasione d’oro di far campagna a favore della legge 40.

Giorgio Israel

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